GIAN PAOLO PACE<br />(Venezia, documentato dal 1528 al 1560)<br />Ritratto di Giovanni dalle Bande Nere<br />1545 ca.<br />olio su tela <br />Firenze, Galleria degli Uffizi<br />Inv. 1890, n. 934
La presunta vena guerriera dei Medici ebbe la sua genesi in Giovanni delle Bande Nere, il quale il “mestiere delle armi” lo praticò davvero. Il valoroso condottiero, padre di Cosimo I, seppe innovare l’arte militare e perfezionare gli equipaggiamenti in risposta all’evoluzione delle armi da fuoco.

Il figlio nutrì verso questa figura una grande venerazione, facendone un vero e proprio eroe dinastico utile anche alla propria immagine politica: ne è valida testimonianza lo scudo da cerimonia qui esposto, orgogliosa autopresentazione del secondo duca di Firenze, Cosimo, probabilmente in occasione delle nozze con Eleonora di Toledo.

Nel grande stemma centrale è infatti dipinta, sormontata dalla corona ducale, l’arme medicea, nella versione però del più celebre ramo estinto di Piero e di Lorenzo il Magnifico (non vi è infatti la palla con la croce di popolo, propria del ramo dei Medici “Popolani” cui apparteneva anche il giovane duca, ma quella azzurra con i gigli di Francia), stretta tra due “biscioni” sforzeschi.

Un’evidente autopromozione del signore che, in un’unica immagine, riuniva quanto di più prestigioso le sue parentele potessero mettergli a disposizione: la gloria politica dei Medici del Quattrocento e quella nobiliare dei Signori di Milano (famiglia cui apparteneva la nonna paterna Caterina Sforza).

MANIFATTURA FIORENTINA<br />Targa da fante da mostra<br />1540 ca.<br />legno (rivestito di tela?) gessato e dipinto<br />Firenze, Museo Comunale Stefano Bardini<br />Inv. n. 303
L’invenzione dello stemma mediceo (quello caratterizzato dalle celebri “palle” o per dirla secondo il linguaggio araldico i “bisanti”) avrebbe trovato la sua origine (come narrato in un mito filomediceo costruito a posteriori e formalizzato letterariamente nel Seicento) in quello scudo dorato appartenuto al leggendario capostipite Averardo, presunto “capitano” di Carlo Magno, che vi ebbe impressi i segni dei colpi delle sfere metalliche insanguinate della mazza brandita con forza selvaggia dal gigante Mugello.

Leggenda dinastica, uno dei personaggi della quale si è, forse, come pietrificato, per mano del Giambologna e per volere di Francesco I, nel giardino della villa di Pratolino ove, appunto, la statua del gigantesco Appennino da cui scaturiscono gelide acque potrebbe essere intesa come mitica creatura ‘mugellana’.

GIORGIO VASARI<br />(Arezzo 1511-Firenze 1574)<br />Ritratto di Alessandro De’ Medici<br />1534<br />olio su tavola <br />Firenze, Galleria degli Uffizi<br />Inv. 1890, n. 1563
E dopo il mito, la storia, quella reale di Cosimo, mercante e banchiere che si fece ‘signore’ di Firenze, consolidando sempre più il proprio potere a partire dal 1434. Un’epoca in cui le armi e le armature divennero, oltre che strumenti bellici da offesa e da difesa, anche preziosi ‘oggetti’ finalizzati alla propaganda politica: così quelle elegantissime di Lorenzo il Magnifico e di suo fratello Giuliano, che ne facevano mostra nelle giostre cittadine cantate da Poliziano; così quelle funzionali da impiegarsi sul campo di battaglia, perfezionate dal genio militare di Giovanni delle Bande Nere onde renderle sempre più versatili; così quelle che indossavano nei ritratti ‘di stato’ sia Alessandro, il duca tiranno assassinato nel 1537, sia Cosimo che alfine avrebbe ottenuto, seppur tribolando, il titolo di granduca dal papa nel 1569.

L’assolutismo del potere celebrò, infine, se stesso con la creazione dell’“Armeria” granducale, allestita nel 1589 per volontà di Ferdinando I nel Palazzo degli Uffizi proprio accanto a quella Tribuna che il suo predecessore, il fratello Francesco, aveva concepito quale prezioso, pacifico scrigno per le collezioni medicee di dipinti, bronzetti, gemme, medaglie. Altre armerie, stavolta ‘private’, dovevano poi essere ubicate nella reggia di Pitti e nelle varie ville dove i Medici si spostavano per cacciare.

Uno dei punti di forza della politica dei primi granduchi fu, in effetti, la razionalizzazione dell’esercito ‘di stato’, inserita nella più generale modernizzazione della Toscana assolutistica: un spirito operativo derivante, probabilmente, anche dalle rusticane origini mugellane, sempre tenute care dalla dinastia.

La produzione di armi e manufatti metallici di pregio fu non a caso uno dei vanti del granducato e un supporto non trascurabile per l’autonomia dello stato regionale. Alcuni centri in Toscana fin dal Trecento avevano sviluppato particolari ‘tecnologie’ in tal senso e, fra questi, va senz’altro ricordata la mugellana Scarperia, ove si creavano lame ed armi da taglio e da punta formidabili.