E’ qui proposto il suggestivo confronto fra tre Crocifissi lignei del Quattrocento fiorentino: quello di Donatello per Santa Croce (1406-1408), quello di Filippo Brunelleschi per Santa Maria Novella (1410-1415) e quello d’ambito donatelliano (1460 circa), senza ancora una paternità certa, di Bosco ai Frati.

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Il paragone fra i primi due, provenienti dalle grandi basiliche cittadine l’una francescana e l’altra domenicana, era stato impostato da una tradizione letteraria cinquecentesca poi confluita nelle pagine delle Vite di Giorgio Vasari (1550 e 1568), secondo la quale Brunelleschi avrebbe scolpito il suo Crocifisso in amichevole, ma polemica risposta a quello di Donatello, da lui giudicato “un contadino” messo “in croce”.

La sfida ha i toni scanzonati della gioventù (Brunelleschi era più anziano di Donatello di circa dieci anni), ma, al di là dell’aneddoto, il confronto reciproco tra i due artisti dovette esserci senz’altro stato. Nel primo decennio del Quattrocento Donatello si muoveva ancora nel solco della tradizione gotica, sulla scia di Ghiberti però con la veemenza di un giovane pronto a intraprendere nuove strade; Brunelleschi, suo amico, che praticava in questi anni anche la scultura, proponeva nel suo Crocifisso un nuovo ideale rinascimentale di bellezza decantata attraverso il filtro del raziocinio.

Al precedente di nobile e dolente rassegnazione di Brunelleschi rimanda, infine, il Crocifisso di Bosco ai Frati, ove però il corpo gracile e gentile denuncia l’influenza del Donatello maturo degli anni Cinquanta, risultando quindi eseguito intorno al 1460: un’opera che rappresenta perciò una sorta di passaggio, sia in senso generazionale che in senso artistico, tra quello intagliato da Filippo per Santa Maria Novella e quello creato dal genio giovanile di Michelangelo nel 1494 per la chiesa di Santo Spirito.