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Una famiglia di pittori e la bottega fiorentina tradizionale

13:52 01 Ottobre in Approfondimenti
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tavarnelleLa presenza nel Museo d’arte sacra di Tavarnelle di un consistente nucleo di dipinti di Neri di Bicci e di un’opera di Lorenzo di Bicci, nonno di Neri, ci invita a parlare di una delle maggiori botteghe fiorentine. Spesso a conduzione familiare, costituita da artisti legati tra loro da vincoli di parentela che univano diverse generazioni, la bottega garantiva la continuità del mestiere e offriva ai suoi membri numerosi vantaggi. Non solo i figli d’artista non erano tenuti a pagare all’Arte dei Medici e Speziali la quota di iscrizione, ma godevano anche della possibilità di un apprendistato precoce. Il passaggio di gestione avveniva poi gradualmente: è questo il caso sia di Bicci nei confronti del padre Lorenzo, sia di Neri nei confronti di Bicci.

Neri, in qualità di discepolo, muovendo dalle formule paterne, da giovane collaborò col padre, per giungere poi a essere vero e proprio “compagno”, condividendo oneri e proventi, fino al passaggio della gestione – avvenuto nel 1446 a seguito della malattia di Bicci – che gli consentì di ereditare anche la clientela. Se all’inizio del Quattrocento il Libro dell’Arte di Cennino Cennini documenta il ruolo della bottega come centro di formazione per il pittore, circa alla metà del secolo Le Ricordanze di Neri di Bicci (1453-1475), ci consentono di conoscere la struttura e l’organizzazione della bottega. Il contratto di fitto nel 1458 della nuova bottega di Neri in via di Porta Rossa, punto nevralgico nel quale si concentravano numerosi pittori, è anche una descrizione precisa della tradizionale bottega quattrocentesca. Posta al pianterreno di un edificio, la bottega di Neri disponeva all’interno di una stanza, fornita di palco adibito a deposito, al quale si accedeva da una scala. Piuttosto spaziosa, era dotata di una «volta» o cantina e di un «fondachetto», utilizzato come magazzino. Generalmente la porta di accesso alla strada era fiancheggiata da due «muriccioli», le cosiddette “mostre”, sulle quali venivano esposti i manufatti.
L’arredamento delle botteghe – come si legge negli antichi inventari – era piuttosto sobrio, con panche, armadi, deschi e casse, ma vi erano soprattutto “masserizie”, cioè i manufatti che si producevano. Si trattava spesso di suppellettili minori come deschi da parto, cassette, specchi, ceri, cimieri, stendardi.
Accanto ad alcune botteghe specializzate – dipintori di stoffe (sargie), di carte da gioco (naibi), miniatori, forzinerai – vi erano altre botteghe artigiane – legnaioli, battiloro, setaioli, bandierai – che avevano rapporti di lavoro con le botteghe dei pittori. Dal libro delle Ricordanze sappiamo ad esempio che tra i vari legnaioli che partecipavano all’attività commerciale di Neri, un rapporto preferenziale era con Giuliano da Maiano, al quale Neri richiedeva la carpenteria delle sue tavole, fornendogli disegni e precise indicazioni per le cornici.
La bottega di Neri fu punto di riferimento importante per la generazione dei pittori del Quattrocento che lì compirono la loro formazione (Giusto di Andrea, Cosimo Rosselli, Francesco Botticini). I rapporti tra maestro e allievo erano regolamentati da patti precisi. Oltre al salario, il maestro era infatti tenuto a fornire vitto e alloggio e talvolta si preoccupava anche del vestiario dell’allievo ( Le Ricordanze, pp. 56-57).
La bottega dispensava le sapienti tecniche artigiane ereditate dal passato, prezioso patrimonio dei pittori fiorentini.

in, Museo d’arte sacra di Tavarnelle Val di Pesa. Guida alla visita del museo e alla scoperta del territorio. A cura di Caterina Caneva. Polistampa 2005

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