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L’autonomia religiosa di Fucecchio

14:16 28 Ottobre in Approfondimenti
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fucecchioGaetano Maria Rosati, personaggio di spicco della cultura fucecchiese dell’Ottocento, affermava in un suo saggio: «La chiesa di Fucecchio vanta una celebrità non comune alle celebri chiese della Toscana e, se non gareggia con le principali, le supera forse per la singolarità delle sue vicende che tanto interessano la storia ecclesiastica… ne è l’ultimo dei suoi pregi quello di formare e di aver formato un privilegiato territorio separato fino da tempo immemorabile» (in «Bullettino Storico Empolese», X, 1966). L’orgoglio con il quale il Rosati sottolineava la peculiarità della chiesa fucecchiese era lo stesso che aveva spinto, alla fine del Settecento, il canonico Giulio Taviani, sulla scorta della scoperta di antichi documenti, a richiedere che la pieve di San Giovanni Battista a Fucecchio, fulcro religioso della cittadina, venisse elevata a concattedrale della diocesi.

Per comprendere la peculiarità della realtà religiosa di Fucecchio è necessario rivisitare la storia dell’abbazia di San Salvatore, sorta nel punto più alto del Poggio Salamartano, altura adiacente al castello cadolingio. Fu il conte Ugolino, ultimo dei Cadolingi, a donare il terreno all’abate per ricostruire il complesso religioso dopo la rovinosa alluvione del 1106 che aveva distrutto la chiesa, menzionata nei documenti del 986, voluta da Cadolo, e l’abbazia fatta costruire dal figlio Lotario in prossimità dell’Arno.
L’abbazia, in origine benedettina, fu offerta ai Vallombrosani dal conte Guglielmo Bulgaro dei Cadolingi, fautore del movimento di riforma della Chiesa, alla metà circa dell’XI secolo. Sotto l’autorevole guida di Pietro Igneo, divenuto abate, e dei suoi successori, Pietro II e Anselmo, l’abbazia aumentò le sue ricchezze e il suo prestigio, tanto che Gregorio VII la dichiarò nel 1086 esente da qualunque autorità ecclesiastica e dipendente esclusivamente dalla Santa Sede, mentre ad essa era sottoposta la pieve di San Giovanni Battista, sulla quale i monaci esercitarono il patronato. Tra i privilegi concessi all’abbazia è soprattutto interessante l’autonomia dalla giurisdizione vescovile di Lucca, con la concessione ai monaci della scelta di un vescovo di gradimento sia per l’ordinamento sacerdotale sia per gli olii santi. Tutto ciò si inseriva nella lotta per le investiture, confermando la piena adesione dei Vallombrosani al partito gregoriano. Questi privilegi, che comportarono in un certo senso l’estromissione del vescovo di Lucca dalla realtà religiosa fucecchiese, furono addirittura amplificati dopo la cacciata dei Vallombrosani e l’insediamento nel 1258 delle suore di Santa Maria in Selva di Gattaiola, che presero però oggettivo possesso dell’abbazia solo alla fine del Duecento. La badessa Lorenza, pur donando nel 1299 una parte dei beni, per difficoltà di amministrazione, ai frati francescani, mantenne comunque l’autorità spirituale sul popolo di Fucecchio, che le valse il titolo di Episcopessa. L’autonomia dalla giurisdizione vescovile di Lucca, appoggiata per motivi politici dall’autorità locale, una volta che Fucecchio era entrata nell’orbita della Repubblica fiorentina, durò ininterrottamente dalla fine del Duecento fino al 1622, anno nel quale il potere mediceo provvide a creare la diocesi di San Miniato, con lo scopo di gestire i territori ecclesiastici lucchesi che facevano parte del Granducato.
Durante lunghi secoli la Chiesa di Fucecchio, sottoposta alla giurisdizione della badessa di Santa Chiara di Lucca, costituì di fatto un territorio autonomo non dipendente da alcuna diocesi, «nullius diocesis».

Rosanna Caterina Proto Pisani

in, Museo di Fucecchio. Guida alla visita del museo e alla scoperta del territorio, a cura di Rosanna Caterina Proto Pisani, Polistampa 2006

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